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Bubble (2005)

domenica 30 novembre 2008

USA - Drammatico - 73'
di Steven Soderbergh

In una fabbrica di bambole lavorano Kyle, ventenne ipoattivo, e Martha, una donna di mezz'età che vive col padre paralitico. Quando Rose viene assunta in fabbrica attira subito le attenzioni di Kyle scatenando la gelosia di Martha. Pochi giorni dopo Rose sarà strangolata nel suo appartamento.


Il ritratto di un'America periferica e operaia vissuta da personaggi alienati che tirano avanti per inerzia le loro grigie esistenze. Arriva una ragazza un po' stronza, opportunista, con il sogno di andarsene, ed ecco che questo equilibrio divino si spezza e ci scappa il morto, lei, appunto. Si dice che sia stato girato in tre settimane, senza copione, con attori non professionisti reclutati in loco e meno di 2 milioni di budget. Fatto sta che questo Soderbergh d'auteur risulta forse il migliore che conosciamo. Lo stile è asciutto, con tutti gli elementi ridotti al minimo sindacale: scene, dialoghi, personaggi. La regia è poco americana, sembra più una mano europea, le inquadrature statiche come i personaggi che ci stanno dentro, perennemente seduti. Nessun movimento di camera, montaggio secco e campi lunghi persino dentro casa. La sceneggiatura risponde a questa ricerca di essenzialità, gli eventi si susseguono schematici e regolari senza sbavature o ridondanze di sorta, per poi ottenere, giustamente, un film ai limiti del mediometraggio. Il dramma si tinge di venature gialle in cui gli indiani sono meno di dieci ma la soluzione del caso è tutt'altro che scontata.

Mi sono chiesto da dove provenisse il titolo e mi sono anche dovuto rispondere, dato che nessuno lo spiega. Probabilmente si riferisce alle bambole, bolle, involucri vuoti, esattamente come i nostri protagonisti che le costruiscono, o forse alla bolla di apatia che li ricopre, o ad entrambe le cose. Oppure sarà dovuto al finale alternativo che si riferiva ad un tumore, una bolla appunto? Fatto sta che è incredibile come la semplice capoccia di una bambola possa essere così dannatamente inquietante. Sarà il cinema che ci ha abituati a fantocci maligni o è un qualcosa di più antropologico e ancestrale? Molte domande, ma che alla fin fine mi sto ponendo arbitrariamente, perchè in questo film ci sono pochi lati oscuri, tutto è tristemente come appare.

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Lasciami entrare (2008)

giovedì 27 novembre 2008

(Låt den rätte komma in) - Svezia - Horror - 114'
di Tomas Alfredson

"Ho dodici anni. Ma ne ho dodici da molto tempo."

In un quartiere alla periferia di Stoccolma si consuma la storia d'amore e di sangue di Oskar, dodici anni, ed Eli, una vampira apparentemente della stessa età.


In anticipo di un giorno dall'anteprima italiana al festival di Torino recensiamo questa produzione svedese che sta facendo parlare di sè tanto che, non ancora distribuito, già si preannuncia un remake made in USA. Noi ubicati a circa ventiquattro ore di automobile dal capoluogo piemontese li battiamo sul tempo ma non, purtroppo, sulla grandezza dello schermo.

Chiariamo subito un concetto: le voci sono fondate, questo film è magnifico.
Prima di scrivere una recensione è automatico soppesare lati positivi e negativi per raggiungere un giudizio complessivo. A volte capita però che ciò che hai appena visto ti ha appagato e soddisfatto, stupito soprattutto, a tal punto che non hai nessuna intenzione di andare a cercare le imperfezioni, semmai anche provandoci riuscissi a trovarle. Lasciami entrare è proprio uno di questi casi.

Alfredson confeziona un film imperneato sull'implicito, sul non visto, sul fuori campo, lasciando all'immaginazione dello spettatore il compito di ricostruire i vuoti visivi e narrativi. Se per qualcuno potrebbe essere un grosso limite, qui ne abbiamo una delle massime espressioni e la scena finale in piscina ne è l'apoteosi.


Lina Leandersson
Avete presente la piccola Claudia di Intervista col vampiro? Bene, scordàtela. Abbiamo a che fare con un personaggio molto più complesso ed intrigante. La figura poetica e letale di Eli è dotata di una ambiguità che si va pian piano delineando, sequenza dopo sequenza, inesorabile, come la bocca di una bambina macchiata del sangue delle sue vittime, rendendoci consci e partecipi dell'ineludibilità del male, un male in questo caso naturale, forse inconsapevole, ma mortale sia per il corpo di chi lo nutre che per l'anima di chi lo abbraccia. Oskar probabilmente non ne è cosciente, ma la scelta di amare una vampira influirà sul suo destino in maniera tristemente distruttiva. Nessuno tuttavia commette errori, ognuno risponde alla sua natura e ne sconta le relative conseguenze.

Il perché del titolo risiede nel divieto, che ogni vampirologo che si rispetti conosce bene, di entrare in una casa senza essere stati espressamente invitati. Nel film è anche presente un retroscena riguardante Eli, raccontato, già come altri elementi, in modo non esplicito ma lasciandolo intendere ampiamente, che rende il personaggio, e la storia in sè, ancora più particolare.
Una curiosità è che Eli è interpretata da due attrici, una bambina ed un'adulta che appare per brevi sequenze. Gli attori da applausi tutti, nonostante la giovane età, e lo stesso vale per il regista che dimostra una sapienza da veterano benché sia solo al suo secondo lavoro al cinema. Effetti speciali e make-up efficaci ed usati con oculata parsimonia. La fotografia (ah la fotografia!) è contrasto, è sangue caldo sulla neve gelida, è colore su un perenne sfondo bianco, è la vita che sopravvive alla morte circostante.

Facciamoci una domanda: è possibile fare oggi un film sui vampiri, dopo la quantità di pellicole realizzate a riguardo nei decenni, lasciare intatti i tratti tipici di questo personaggio ed ottenere un prodotto innovativo, ispirato, coinvolgente, affascinante? La risposta si trova in questo film.

nove


Al cinema dal 9 Gennaio 2009


Sottotitoli:
credo di fare una cosa gradita a chi non ha dimestichezza con l'inglese, e non solo, fornendo i sottotitoli in italiano. Dato che pur cercandoli non sono riuscito a trovarli ho idea che fino adesso non esistessero. Devo ammettere che è stato un lavoraccio, ma penso che questo film se lo meriti.

Scarica i sottotitoli in italiano
(14,3KB)

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Distretto 13: le brigate della morte (1976)

martedì 25 novembre 2008

(Assault on Precint 13) - USA - Thriller - 91'
di John Carpenter

Una stazione di polizia in procinto di chiudere viene assalita da un gruppo di malviventi intenzionati a vendicare la morte del loro compagno: il suo assassino si è rifugiato all'interno.


A suo modo sperimentale,
quest'opera seconda del maestro Carpenter ci propone due elementi caratteristici. Il primo, fortemente d'impatto, è l'ambientazione, il distretto di polizia in disuso isolato dalla metropoli, come già indicato dal titolo forse il vero protagonista, offre lo scenario perfetto allo sviluppo della vicenda. Il secondo fattore importante è la provenienza misteriosa del pericolo, gli assaltatori sono almeno una ventina ma noi conosciamo i volti solo di tre di loro, i quali, dalla metà in poi, si perdono e confondono nella minacciosa oscurità circostante. Non parlano, non sappiamo come interagiscono tra di loro, sono malvagi, sono il male, e non ci è dato sapere altro. Questa caratterizzazione minimal dell'antagonista dà al film una piacevole venatura surreale.

La narrazione soffre tuttavia di una certa approssimazione, si dilunga all'inizio e risolve in fretta alla fine. I personaggi, alcuni interessanti, vedi la protagonista femminile, altri meno, come il tenente, troppo pallido, a dispetto della sua carnagione, per fare da protagonista, che viene sopraffatto ben presto nel ruolo principale dal galeotto dall'animo buono Wilson, detto "Napoleone". Lontano da quel poema vivente che sarà Jena Plissken in Fuga da New York ('81), Wilson risulta anche lui stereotipato e abbozzato, un eroe non abbastanza anti-eroe, privo di sfaccettature ed eccessivamente positivo per essere convincente.

Questa pellicola entusiasmò critica e pubblico di trent'anni fa, e tutt'ora molti estimatori gridano al capolavoro se non, addirittura, al miglior film di Carpenter. In realtà, apprezzabile più per gli spunti registici e le atmosfere che per il film in sè, visto (o rivisto) oggi Distretto 13 appare come un film d'autore, già carpenteriano, ma soltanto lo spiraglio dal quale si è sprigionato e poi espanso il genio visionario del regista in vere perle cinematografiche, quali La Cosa ('82) ed Essi Vivono('88), per dirne un paio di sicuro valore, nella sua filmografia successiva.

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Symbiosis (2006)

venerdì 21 novembre 2008

[Symbiosis - Uniti per la morte] - (Like Minds) - Australia/UK - Thriller - 110'
di Gregory J. Read

Una psicologa indaga sui fatti che hanno preceduto il ritrovamento di Alex accanto al corpo senza vita del suo compagno di college.

La lentezza con cui sono raccontati gli avvenimenti di questo confuso thriller psico-esoterico non basta a far annoiare ma suscita nello spettatore aspettative poi non ripagate. Belli gli scialbi paesaggi scozzesi.

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Angel-A (2005)

martedì 18 novembre 2008

Francia - Commedia - B/N - 90'
di Luc Besson

Sul punto di suicidarsi André si imbatte in una bellissima ragazza che lo aiuterà a riscattarsi.

Angel-A è un atto d'amore, come si è detto, di Besson per la sua città, Parigi, visitata, ammirata, vissuta dai due protagonisti e ritratta come in cartolina, in ogni sequenza, dal regista. Ma l'atto d'amore, di per sè, non basta a scagionare un film che suscita, dopo un po', principalmente noia. Ebbene sì, non è bello parlar male di Besson, specie sotto il profilo dell'intrattenimento, dato che di solito ai suoi film non manca certo l'azione, ma Angel-A, bisogna dirlo, non convince affatto. E' solo la bellezza di Rie Rasmussen a tenerci incollati alla poltrona, dotata di un fascino esasperante, sovrumano, che si adatta e sovrasta quello della città che le fa da sfondo. La storia d'amore è di certo scadente, poco credibile, forzata e affrettata in un finale semplicistico e raffazzonato. Se volessimo vedere il film come la redenzione di un uomo dal fallimento, un inno all' ama te stesso, avremmo da obiettare che per novanta minuti succede poco o nulla, e a parte due-tre scene interessanti, il resto della proiezione è mera pellicola in più.

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Tutta la vita davanti (2008)

lunedì 17 novembre 2008

Italia - Drammatico - 117'
di Paolo Virzì

Marta, una ragazza siciliana appena laureata con lode in Filosofia cerca di inserirsi nel mondo del lavoro. Trova un impiego come telefonista dove verrà a contatto con la dura realtà del precariato.

Virzì aveva già affrontato alcuni dei temi di questo film in Ovosodo ('97) seppure in termini diversi e fatti i dovuti paragoni per due epoche differenti. In primis il passaggio dalla giovinezza all'età adulta, in entrambi i casi duro ed improvviso, e in secundis il ritratto di un'Italia concreta ed operaia (ma anche sognatrice) nel primo caso, triste precaria e vuota nell'altro. Il call-center di Marta è un microcosmo facilmente affiancabile all'Italia stessa in cui dietro balli, canti e grandi sorrisi si nascondono il marciume, l'ipocrisia e la tristezza di esistenze infelici. In dieci anni il nostro Paese è cambiato radicalmente, il sogno socialista di un posto fisso in fabbrica e una bella moglie ad aspettarti a casa ("forse la felicità" [cit.]) sembra appartenere a tempi lontani e dimenticati. Il personaggio di Giorgio, un sindacalista evitato, denigrato e fuori luogo, interpretato da un sempre ottimo Valerio Mastandrea, è un po' il feticcio di quel tempo ormai passato.

Tutta la vita davanti è un film di denuncia, che fotografa la giovinezza con tono rassegnato. Il messaggio è quello di non adeguarsi, di non farsi inglobare, rimanere sè stessi ma senza velleità di cambiare le cose.

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The Orphanage (2007)

mercoledì 12 novembre 2008

(El Orfanato) - Spagna/Messico - Horror - 105'
di Juan Antonio Bayona

Una coppia con il figlio si trasferisce in un vecchio orfanotrofio con l'intenzione di trasformarlo in una casa famiglia per bambini bisognosi. Durante l'inaugurazione il bambino scompare senza lasciare traccia.

A differenza di Sam Raimi, che ha prodotto insulsaggini del calibro di 30 Giorni di Buio o del mediocre Boogeyman, Guillermo del Toro, produttore e promotore di questo film, sembra puntare su un cavallo vincente. Bayona ha tutte le carte in regola per entrare a far parte della cerchia degli esponenti dell'horror iberico, al fianco di Balaguerò, Amenabar e Del Toro stesso.


The Orphanage riprende quel concetto di horror psicologico basato su atmosfere e sensazioni piuttosto che su reali scene di orrore, anche se, in qualche occasione, il regista ci regala un paio di immagini davvero disturbanti. Il film è pieno zeppo di citazioni di altri film come Shining, Poltergeist, Nameless, La Spina del Diavolo, Il Sesto Senso, e la struttura che vede il protagonista cercare di ricostruire indizi perduti nel tempo è quella classica degli horror nipponici del genere The Ring o The Grudge. In questo tripudio di clichè non poteva mancare il colpo di scena rivelatore nel finale.

Tuttavia, pur non potendosi definire inusuale, The Orphanage risulta un film originale, rimescola fatti e situazioni già viste ed ottiene un prodotto nuovo che offre un buon intrattenimento. Come opera prima non c'è male, e lo stesso Del Toro in Cronos ('92) non credo abbia saputo fare di meglio.

sette


Al cinema dal 14 Novembre
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Fratello, dove sei? (2000)

(O Brother, Where Art Thou?) - USA - Commedia - 106'
di Joel & Ethan Coen

Tre galeotti condannati ai lavori forzati scappano e vanno a recuperare il bottino di una rapina. Lungo il viaggio incontreranno strani ed ambigui personaggi e saranno protagonisti di vicende ai limiti dell'incredibile.


Che i fratelli Coen sappiano fare cinema l'abbiamo capito. La domanda è: che genere di cinema fanno? O meglio, è un genere di cinema che ci piace? La risposta è: dipende.

Dipende se abbiamo voglia di vedere un film che sarà comunque particolare, se ci va di guardare una commedia nera, in certi casi pulp; se ci va un po' di intrattenimente crudo e raffinato ma senza troppe pretese. Se invece sentissimo il bisogno di qualcosa di più impegnativo (e impegnato) allora meglio scegliere qualcos'altro in videoteca.

Sì perché in Fratello, dove sei? si ripetono tutti i punti forti e deboli dei nostri due fratelli registi. Sicuramente personalità e creatività, sia in regia che in sceneggiatura. D'altro canto non è da meno l'assoluta mancanza di qualsiasi messaggio nascosto o esplicito in tutto il film. In questo come negli altri alla fine della visione non rimane nulla, solo una carrellata di momenti e personaggi dei quali nessuno ha lasciato il segno o ci ha insegnato qualcosa. Molte situazioni ma pochi contenuti.

In ogni caso tra le commedie leggere si attesta sicuramente come opera minore rispetto ad altre della loro filmografia.

Il voto è sei e mezzo
I Coen hanno fatto film migliori Leggi tutto...

Premi dai bloggers

martedì 11 novembre 2008

6 Dicembre 2008
ricevuto da Iole
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